Lo zodiaco nel rinascimento
Con l’avvento del cristianesimo l’astrologia subisce una iniziale decadenza, ma continua a rimanere radicata nella cultura sia laica che religiosa. Ancora l’evocazione simbolica del potere implicita nell’immagine dello zodiaco resiste negli ambienti del potere. L’identificazione di Dio stesso con il sole, basata sulle teorie eliosofiche e la penetrazione del mazdeismo nella cultura tardoantica spingono ancora imperatori come Aureliano e Costantino a non rinunciare ai culti astrali.
Costantino chiede la creazione dell’oroscopo della città di Bisanzio, che venne ritrovato nel rinascimento da Pomponio Gaurico nella biblioteca vaticana e pubblicata dal fratello Luca nel Neapolitani prognosticon. Sempre Costantino, in perfetto accordo con le teorie orientali di una origine celeste del potere non mancò di farsi raffigurare su una colonna a Bisanzio con le vesti del sole .
La filosofia tardo antica cerca inoltre di rafforzare la posizione dell’astrologia e della magia in genere. Nell’ambito neoplatonico è possibile una distinzione tra teurgia e goetia, la prima rivolta a spiriti stellari buoni la seconda ad entità malvagie, categorie di popolazioni magiche già individuate da Apuleio. Anche in questa visione riscopriamo la resistenza di un rapporto stretto tra spiriti ed astri. In questo modo l’astrologia proprio perché riferita al mondo celeste è in se stessa benigna: per Plotino in particolare le stelle con i loro transiti sono segni inviati della divinità stessa per meglio predisporci verso il futuro.
Invece l’atteggiamento dei padri della chiesa verso i pianeti – dei è nel migliore dei casi polemico e diffidente. Per un Tertulliano, che aveva dato una particolare spiegazione sugli spiriti planetari, definendo l’astrologia la dottrina degli angeli caduti, la divinazione con gli astri non ha più necessità di essere dopo la discesa del Cristo sulla terra.
La possibilità preditoria dell’astrologia appare così superflua nell’ambito del modificato rapporto con il destino dell’uomo, eticamente rigenerato dal Cristo. San Agostino considera malvagi tutti gli dei astrologici in una polemica, che vuole essere di fatto anche un colpo di grazia al morente paganesimo. La critica di Agostino è però di base compromessa dal suo stesso avvicinamento, avvenuto in età giovanile, a questa scienza divinatoria. Infatti il rifiuto dei perfidi dei astrali nel De Civitate Dei mostra almeno rispetto per uno di essi, che era poi la divinità prescelta dai platonici: Saturno, di cui descrive la etimologia metà greca e metà latina, cioè da Satur abbondante e nous mente.
Nel corso del medioevo non mancheranno tentativi di eliminare la stessa settimana planetaria e addirittura di conciliare le costellazioni con nomi biblici, come fa Irenico in piena età carolingia, mentre nel Li cumpoz di Filippo di Taon si prova a sostituire ai dodici segni i dodici patriarchi. Questa operazione garantiva ancora e in un ambito religiosamente rivoluzionato l’antica assimilabilità degli astri a delle manifestazioni del divino in terra.
Le stelle, prima associate strettamente agli dei e ai miti pagani, ossia agli eroi divinizzati e alle gesta mitiche dell’antichità, ora trovano il loro corrispettivo terrestre nei nuovi eroi della tradizione ebraico cristiana, santi e patriarchi. Ma i presupposti dell’astrologia e la credenza negli spiriti astrali non cessano per questo. Già nell’ottavo secolo l’imperatore bizantino Teofilo istituirà una cattedra di astrologia per ringraziare il filosofo Leone, per aver salvato la città di Salonicco da una epidemia attraverso l’uso degli influssi astrali.
Questa era di certo una circostanza fortuita, una scelta fatta sull’onda emotiva di una grande sventura evitata e nella storia antica non mancavano esempi di comunità salvate dalle conoscenze oscure di un filosofo, come il caso di Empedocle, che blocca il diffondersi della malaria a Siracusa e che viene divinizzato dalla comunità. Ma la cattedra assegnata a Leone è comunque un primo segno di un dibattuto recupero.