Lo zodiaco nel Medioevo
Il pensiero medievale tenta un riscatto dello zodiaco soprattutto attraverso l’idea di stelle come esseri spirituali e capaci di intervenire sul mondo terrestre. In questo modo si assiste alla sopravvivenza dei miti e degli dei pagani nel medioevo come forme astrali fino al Rinascimento, dove in molte esperienze rafforzeranno il loro valore astrologico.
Sant’Ambrogio ispirandosi a Filone, che era riuscito a compendiare la concezione celeste ellenistica con quella ebrea, e rifacendosi alla divisione dei sette cieli individuata da Vittorino di Pettau, che li faceva corrispondere ai sette giorni della creazione, afferma l’esistenza di sette spiriti immortali legati ai sette cieli, che resero possibile come dice Isaia la incarnazione del Cristo.
Abelardo di Bath nel X secolo, del resto traduttore dell’Introductorium di Abu Ma’ shar, una delle opere di astrologia più importanti del medioevo, crede che le stelle siano degli animali immortali, non soggetti a nessun tipo di trasformazione, ma in grado di svolgere attività biologiche come mangiare e accoppiarsi.
Gli astri animati di Abelardo sono quindi in perfetta concordanza con l’idea antica della divinità, ed è possibile constatare in questa tesi l’influsso di testi arabi. Anche Bernardo Silvestre ritiene che se da un lato le stelle appartengono alla dimensione divina e pertanto immortale, dall’altro condividono con l’uomo alcuni elementi della condizione terrestre. Ricompone quindi una cosmogonia astrologico cristiana, affermando ad esempio che Urania, una delle nove Muse, crea l’uomo servendosi di congiunzioni planetarie e che la incarnazione del Cristo fu dovuta all’azione delle stelle. Ancora Guglielmo di Conches nel De philosofia mundi ritiene che Dio avesse creato gli spiriti delle stelle e che questi a loro volta generassero l’uomo.
Ma nel medioevo oltre ad un certo recupero in un ambito intellettuale, è soprattutto nel rapporto con il potere, in particolare con quello imperiale, che risorge l’astrologia nel suo antico valore cosmologico. L’astrologia come sistema di simboli cosmogonici di un rimando speculare tra potere terrestre e potere celeste rivela nel medioevo la sua vitalità anche nelle realizzazioni figurali e in particolare nei ricami su i manti degli imperatori. Noto è infatti il mantello stellato di Ottone III, incoronato nel 995; l’abito aveva una rappresentazione escatologica, legata alla simbologia cosmica e zodiacale, come fusione della Gerusalemme celeste con quella terrestre (macrocosmo microcosmo) e venne donato al monastero di san Alessio sull’Aventino.
Enrico di Bamberga nel primo quarto del XI secolo ebbe in regalo dal conte pugliese Melo di Bari un mantello anch’esso con la raffigurazione dello zodiaco. Anche il manto di Ruggero il Normanno presenterebbe per certi studiosi un rapporto con la simbologia astrologica, così come è raffigurata in un mappamondo celeste realizzato in Egitto nel 1225 e ora a Napoli (Napoli Museo di Capodimonte).
Ma ancora più interessante è la descrizione di queste cosmologie zodiacali su vesti imperiali fatta da Pietro Diacono, poligrafo di Montecassino, che descrive nel suo Libellus de cerimoniis Aulae Imperatoris i manti dell’imperatore (forse Ottone III, ma potrebbe trattarsi di oggetti del tutto immaginari), tra cui uno con riproduzione zodiacale trapuntata di perle e di 365 tintinnaboli (cioè campanelli), quanti ne erano sul leggendario mantello di Melchisedec e cioè tanti quanti i giorni dell’anno.
Un secondo mantello descritto, ancora proporrebbe, attraverso una simbologia mistica del potere, il suo rapporto con il destino, nella forma di un labirinto con al centro un minotauro astomo, cioè con il dito indice puntato sulla bocca, come nel gesto di fare silenzio che era stato di Arpocrate.
La misteriosa figura sta forse ad indicare il mistero insondabile del mondo e del destino, mentre l’uso del labirinto è forse similare alle successive realizzazioni di labirinti sotterranei con al centro una zona circolare, al di sotto delle cattedrali gotiche. Il labirinto è probabilmente una rappresentazione del destino e della imponderabilità degli influssi stellari, che il fedele attraverso un percorso iniziatico cercava di superare con la forza della fede, raggiungendo il centro della struttura, rappresentante il sole o la Gerusalemme celeste.