L’astrologia nella Roma antica

I Romani ebbero un ruolo marginale nella costruzione di un corpus astrologico: ciò che sapevano di astrologia era loro arrivato dai Greci, e quindi più che di astrologia dovremmo qui parlare, inizialmente, di forme più o meno magico-divinatorie-stellari createsi su un terreno stratificato di idee, filosofie, culti misterici, superstizioni entrate nella cultura romana attraverso i contatti con vari popoli ed etnie. Tale situazione faceva inorridire personalità come Catone che non perdeva tempo nel criticare la mania del popolo romano di consultare gli astri per qualsiasi piccola inezia, cosa che, egli diceva, rendeva l’uomo. A Roma gli astrologi erano anche, e soprattutto, maghi e indovini (o a volte, loro malgrado, confusi con questi), tutta una schiera di lettori di oroscopi più che altro al servizio di quel patrizio, quel senatore o quell’imperatore che usavano la scienza delle stelle più per scopi personali, propagandistici e politici che non di ricerca o studio. Si dovrà aspettare l’arrivo del filosofo, storico e astrologo Posidonio di Apamea  per far sì che un’astrologia un po’ più seria e/o strutturata si diffondesse, dall’isola di Rodi dove aveva la sua famosa scuola, in Occidente quindi anche a Roma, un’astrologia che parlava e si basava sulla filosofia stoica, su concetti come determinismo e libero arbitrio, aprendosi quindi a dibattiti anche e soprattutto etico-filosofici. Quasi tutti gli imperatori romani avevano un proprio astrologo e, alcuni di essi, addirittura, si interessavano direttamente di astrologia, per esempio Giulio Cesare che scrisse anche un trattato astronomico in cui si parlava dell’influenza del Cielo sulle vicende umane e più specificamente di astrometereologia; oppure Augusto che addirittura si fece coniare monete con il proprio Segno lunare di nascita.

Il seme lasciato da Posidonio di Apamea fece germogliare la pianta dell’astrologia che si diffuse in ogni strato sociale: quando Giulio Cesare morì e durante le sue esequie una cometa apparve in cielo, non fu difficile per il popolo romano credere che quello fosse il segno che l’anima dell’imperatore stava ritornando alle stelle e soprattutto a Venere, considerata antenata della casata di Cesare.

Ma a Roma l’astrologia così come noi la intendiamo non affondò solide radici; se invece intendiamo per astrologia una sorta di culto astrale, possiamo rintracciarli nella cultura e nella vita romana: MithraAttis o il Sol Invictus di Aureliano, cioè la divinizzazione del Sole il cui culto fu elevato dall’imperatore a religione di stato nel 270 d.C. così che il giorno del solstizio invernale divenne la più grande festa dell’anno romano; a questa si agganciarono poi i cristiani sostituendola con la nascita di Cristo.

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