La vera storia dei Tarocchi: tra gioco simbolismo e divinazione

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Prefazione storica

I Tarocchi, oggi conosciuti per la loro funzione divinatoria, affondano le radici in una storia ben più articolata e stratificata, che attraversa il Medioevo, l’Umanesimo rinascimentale e i grandi movimenti esoterici dell’Età Moderna. Molto prima di essere strumenti di introspezione spirituale, furono carte da gioco, opere d’arte, codici simbolici e infine dispositivi sapienziali. Questo saggio ricostruisce, con rigore filologico e storiografico, l’evoluzione del mazzo, le sue ipotesi di origine, le sue trasformazioni e la sua codificazione esoterica, separando i fatti documentati dalle leggende.

I Tarocchi come carte da gioco: le origini documentate (XIV–XV secolo)

Le prime attestazioni storiche dei Tarocchi non hanno nulla a che fare con la divinazione. Il termine trionfi (successivamente tarocchi) appare nei registri di corte del nord Italia verso la metà del Quattrocento. È a Milano, Ferrara e Bologna che compaiono i primi mazzi illustrati: tra i più celebri, il mazzo Visconti-Sforza, attribuito al pittore Bonifacio Bembo, realizzato per la corte di Filippo Maria Visconti intorno al 1440.

Questi mazzi erano composti da:

  • 56 carte simili ai semi moderni (coppe, denari, bastoni, spade);
  • 22 “trionfi”, carte aggiuntive con figure allegoriche (Il Matto, La Morte, La Giustizia, ecc.).

La loro funzione era ludica: giochi di presa e confronto tra “trionfi” in un sistema gerarchico, antenato di giochi come la briscola o il bridge. L’ipotesi egizia, secondo cui i Tarocchi deriverebbero da un presunto “libro di Thoth”, non trova riscontro in fonti coeve e nasce solo nel Settecento.

Il Rinascimento e la simbologia allegorica

Durante il Rinascimento, i Tarocchi iniziano ad assumere una funzione culturale e filosofica, sebbene ancora non divinatoria. Le carte “trionfali” venivano interpretate come allegorie morali, ispirate alla filosofia neoplatonica, alla Commedia di Dante e all’iconografia cristiana.

Ad esempio:

  • Il Mondo rappresentava la perfezione cosmica;
  • Il Giudizio alludeva all’escatologia cristiana;
  • La Ruota della Fortuna rifletteva la visione medievale della sorte e del destino.

Il mazzo diventava così una “mappa simbolica” della condizione umana, un percorso dalla follia (Il Matto) alla realizzazione spirituale (Il Mondo), con forti echi dell’itinerarium mentis in Deum di Bonaventura da Bagnoregio.

La svolta esoterica: Antoine Court de Gébelin e la reinvenzione del XVIII secolo

Il passaggio da gioco a strumento divinatorio e iniziatico si deve a Antoine Court de Gébelin, intellettuale francese del XVIII secolo. Nel 1781 pubblica il saggio Le Monde Primitif, dove afferma che i Tarocchi sono un antico libro sacro egizio, attribuito al dio Thoth e tramandato in forma cifrata.

Sebbene questa tesi fosse del tutto priva di fondamento storico, influenzò profondamente la ricezione successiva del mazzo:

  • I Tarocchi furono identificati come scrigni di conoscenza arcana, veicoli di verità occulte perdute;
  • Le immagini furono reinterpretate come archetipi dell’inconscio collettivo e strumenti per accedere a verità superiori;
  • Nacque l’uso sistematico dei Tarocchi per la cartomanzia, con tecniche di lettura strutturate.

Etteilla, Papus, Eliphas Levi: i codificatori della chiave esoterica

Dopo Court de Gébelin, il primo vero cartomante professionale fu Jean-Baptiste Alliette, noto come Etteilla (suo nome scritto al contrario). Tra il 1785 e il 1791 pubblicò i primi trattati sulla lettura divinatoria dei Tarocchi, e creò il primo mazzo pensato espressamente per la divinazione, distinto da quello classico.

Nel XIX secolo, la corrente occultista francese – in particolare:

  • Éliphas Lévi, che associa le 22 carte degli arcani maggiori alle 22 lettere dell’alfabeto ebraico e ai sentieri dell’Albero della Vita cabalistico;
  • Papus (Gérard Encausse), che scrive il Traité Méthodique de Science Occulte, sistematizzando l’intero corpus dei Tarocchi in una struttura iniziatica;
  • Oswald Wirth, che realizza un mazzo fortemente simbolico, con riferimenti a alchimia, astrologia e gnosticismo.

Questi autori definiscono quella che oggi chiamiamo la chiave esoterica dei Tarocchi: ogni carta diventa un portale simbolico, un “archetipo spirituale” in grado di attivare intuizioni profonde nel consultante.

Il mazzo Rider–Waite e la sistematizzazione moderna

Nel Novecento, con la pubblicazione del Tarocco Rider–Waite (1909), si completa la trasformazione in chiave psicologica-esoterica. Realizzato da Arthur Edward Waite, occultista membro della Golden Dawn, e illustrato da Pamela Colman Smith, il mazzo introduce alcune novità decisive:

  • Tutti gli Arcani Minori sono illustrati con scene narrative (non solo simboli);
  • I significati esoterici sono resi visivi, facilitando la lettura anche a chi non ha formazione esoterica;
  • Le corrispondenze astrologiche, numerologiche e alchemiche sono integrate nel disegno.

Questo mazzo divenne lo standard della cartomanzia moderna e influenzò tutte le successive produzioni, inclusi i mazzi Thoth di Aleister Crowley e quelli psicologici in ambito junghiano.

Tarocchi come dispositivo simbolico: tra psicologia e spiritualità

Nel XX secolo, la psicoanalisi e la psicologia del profondo (in particolare Carl Gustav Jung) attribuirono ai Tarocchi un nuovo valore: non strumenti per predire il futuro, ma specchi dell’anima, in grado di attivare immagini archetipiche presenti nell’inconscio collettivo. Jung scrive:

“I Tarocchi sono una serie di immagini simboliche… una sorta di macchina per stimolare l’intuizione.”

Nascono approcci che vedono nei Tarocchi un dispositivo di autoanalisi, narrazione e crescita personale, come nella Tarologia di Alejandro Jodorowsky, che propone letture evolutive e integrative.

Conclusione: da gioco a specchio dell’essere

La storia dei Tarocchi non è lineare, né univoca. Si tratta di un dispositivo culturale polisemico, capace di attraversare le epoche mutando funzione, linguaggio e significato. Dalle corti rinascimentali italiane alle logge esoteriche francesi, fino ai consulti contemporanei, i Tarocchi hanno mantenuto una caratteristica centrale: l’infinita interpretabilità delle loro immagini.

Non sono nati per predire il futuro. Sono diventati uno specchio simbolico attraverso cui generazioni di umani hanno cercato di comprendere meglio sé stessi, il tempo in cui vivono e il mistero che li circonda.

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