Astrologia nella storia

La storia dell’astrologia

L’idea principale su cui si muove il recupero dell’astrologia dal medioevo all’età rinascimentale è che gli dei antichi sono in realtà stelle; la loro raffigurazione quindi contiene implicitamente i corrispondenti significati cosmologici. L’idea che i pianeti siano esseri viventi era già diffusa nel primo medioevo e si connetteva a svariati processi di identificazione tra pianeti e dei, iniziata sin nei tempi antichi.

Per il mondo greco però questa sovrapposizione non fu affatto immediata. Aristofane nella commedia “La Pace ” distingue i greci dai barbari, anche perché questi ultimi venerano superstiziosamente il Sole e la Luna e credono negli effetti nefandi delle eclissi. In seguito si era avviata questa compenetrazione tra il divino e l’astrale a partire dall’influsso della tradizione caldea sul mondo greco. Il pensiero greco aveva postulato l’idea del pianeta come essere vivente e divino con la scuola di Zenone stoico, dove l’astrologia veniva di fatto impiegata anche per finalità divinatorie.

In effetti si può leggere in questa concezione anche un fertile innesto della religione egizia, che già secoli prima rappresentava lo zodiaco attraverso le sue divinità, come ci illustra lo zodiaco di Denderah. Ciò può essere dovuto alla diffusione in Grecia di testi egizi che prendevano il nome dai loro stessi autori: il Nechepso e il Petosiris, il primo un faraone e il secondo un sacerdote egiziano.

Anche Eratostene parla di questa combinazione divinità e zodiaco, mentre in poesia si comincia con Arato ad associare le stelle agli antichi miti.

Ma non mancano detrattori; celebre ad esempio è la questione sollevata da Carneade nella sua polemica contro l’astrologia, perché rimaneva indimostrabile il fatto che due gemelli avessero destini differenti pur nascendo nello stesso giorno e ora, mentre persone nate in periodi diversi potessero morire nello stesso momento e modo, come per una battaglia o catastrofe. Lo stesso Panezio, amico di Scipione Emiliano e di Polibio, pur appartenendo alla scuola stoica, respinse alla fine l’astrologia, negando di fatto agli astri ogni rapporto con il divino, mentre Varrone indicava nelle divinità soltanto simboli dei corpi celesti.

Nonostante ciò questo processo di identificazione tra dei ed astri diviene sempre più saldo; Manilio nel suo poema Astronomica, scritto tra il 9 e il 15 d.C., celebrava gli astri come divinità, contribuendo a fondere sempre più la mitologia con l’astrologia e la rappresentazioni degli dei con quella dello zodiaco. Già in età repubblicana cominciano ad essere usate le espressioni abbreviate Saturnus o Juppiter al posto di Sidus Saturni e Sidus Jovis, mentre in età augustea viene introdotta la settimana planetaria, fino ad una corrispondenza tra calendario e zodiaco, che riguarda non solo i giorni ma anche i mesi e le ore.

Macrobio allude a queste corrispondenze ad esempio tra marzo e Marte, in latino per entrambi mars, che corrisponderebbe all’Ariete, segno zodiacale del mese di marzo. Così anche aprilis verrebbe dal greco aphros, cioè spuma: è difatti aprile corrisponde a Venere in associazione con il Toro. Maggio ancora, cioè maius, deriva da Maia, madre di Mercurio e questi è infatti il pianeta del mese di maggio, corrispondente al segno dei Gemelli, mentre giugno si riferisce al segno del Cancro, domicilio della Luna, perché associato a Giunone Lucina o lunare. Ancora gennaio deriverebbe da uno degli dei più antichi e importanti dell’antichità romana: il Giano bifronte.

Arateon Centauro.

Anche le ore hanno una divinità diversa a secondo del giorno della settimana, partendo dalla regola che il pianeta, che governa il giorno, amministra anche la prima ora dopo l’alba, mentre le successive sono distribuite tra i vari pianeti, che si susseguono sempre nel medesimo ordine: cioè Sole, Venere, Mercurio, Luna, Saturno, Giove, Marte.

Le arti figurative non si sottraggono a questo rimando tra miti e stelle, come si nota nel celebre globo farnese nel Museo Nazionale di Napoli, copia romana di un originale greco forse ispirato al poema sulle costellazioni di Arato: sono rappresentate le costellazioni celesti attraverso l’iconografia degli antichi miti sulla superficie di una sfera sostenuta da un Atlante, con uno alto stile di esecuzione .

È il caso della figurazione dell’Idra, costellazione che ne porta sopra altre due; il corvo e la coppa qui con un chiaro riferimento alla storia mitica di Apollo, che manda il corvo ad attingere acqua alla fontana sacra, mentre la disobbedienza costa all’animale come punizione una specie di supplizio di Tantalo, di stare cioè sul dorso dell’Idra insieme alla coppa, senza potersi mai dissetare.

Importante sulla scia della identità iconografica tra mito e costellazione è anche il disco di bronzo di un orologio con raffigurazioni zodiacali, ora nel Salisburgo Stadtmuseum, databile intorno al sec. II-III d. C.. Tale classicismo descrittivo rifiorirà solo in età rinascimentale a partire dalla carta zodiacale di Albrect Durer o nella carta di Pietro Apiano del 1536 e ancora con l’Atlante del disegno Giorgio Martini (1439-1502), una delle prime riprese figurali del mito, che non regge un globo, ma bensì un disco piatto.

Ancora l’idea di Manilio di accoppiare i mesi alle divinità finisce con l’avere nella stessa età romana le sue esecuzioni figurative come l’altare di Gabi e i menologi rustici. La rappresentazione nell’arte figurativa dello zodiaco acquista sempre più un carattere simbolico, in genere riferendosi al potere universale del monarca, unita a esigenze decorative ed estetiche. Un esempio ci può essere offerto dalla volta del triclinio imperiale di Nerone, che probabilmente raffigurava uno zodiaco su una grande tavola di avorio e riproduceva il moto celeste attraverso un meccanismo idraulico.

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